Liberazione di Silvia Romano, la comunicazione in Consiglio comunale di Stefano Di Puccio (PD)

Questo il testo della comunicazione nel Consiglio comunale di oggi di Stefano Di Puccio (PD)

Silvia Romano è libera, è tornata finalmente a casa. Mi associo alla felicità e soddisfazione di tutti per la liberazione di Silvia. A lei, e ai suoi cari, vada il nostro abbraccio virtuale. La sua vicenda ci ricorda quanto purtroppo continui a esser rischioso aiutare chi ha bisogno, che si tratti di bambine e bambini in Africa, giornalisti, dissidenti, studenti o attivisti dei diritti umani in giro per il mondo, alberi in Amazzonia o persone anziane a casa nostra. 

Di fronte alla salvezza di una vita umana vanno affrontate delle priorità: la prima è, per l'appunto, quella di salvare quella vita; qualsiasi cosa sia necessaria deve esser tentata. L'Italia continua a dimostrare di esser capace in queste operazioni. Da sola o con alleanze. Alleanze scomode, ma il fine giustifica i mezzi.

Quanti di noi non avrebbero voluto salvare la propria figlia? Escludiamo i benpensanti che naturalmente non sacrificherebbero certo la propria vita per aiutare l’altro, quelli che: “se l’è andata a cercare”, non meritano interlocuzione.

Silvia non ha scelto di far del bene a casa propria, lo ha fatto dove era più scomodo, più pericoloso, dove c’era bisogno. Aiutando i bambini kenioti, attraverso il gioco, donando sorrisi: gioco e sorrisi necessari come l’acqua o il cibo, e costruendo umanità.

Occorre imparare da questa drammatica vicenda che ha avuto un lieto fine. 

L'Italia ha mobilitato risorse umane e finanziarie per salvare una sua concittadina, e ha fatto benissimo. Altrettanto impegno, in forme naturalmente diverse, deve continuare per affrontare i problemi che avevano spinto Silvia Romano, e centinaia di cooperanti, ad andare in paesi difficili, pericolosi, per aiutare chi ha bisogno. 

Silvia è libera. Ma quanti ancora marciscono in una prigione? Come Patrick Zaky, lo studente egiziano iscritto ad un master a Bologna, non ci dimentichiamo di lui che è ancora in attesa di un processo che non ci sarà mai, come sono caduti nell’oblio i tre ragazzi turchi, il Group Yorum, a cui Erdogan ha tolto la libertà, imprigionandoli, e negando loro la libertà di esprimersi come piaceva loro, con la musica. Di loro non ci siamo occupati, non ne ha parlato nessuno e si sono lasciati morire di fame, uno alla volta.

Guai se la paura avesse il sopravvento. Il nostro paese ha una lunga tradizione di cooperazione, specie nel campo della salute, occorre dotare chi va in giro per il mondo ad assistere chi ha bisogno di tutti gli strumenti necessari per poter lavorare in sicurezza. Proprio come dovremmo fare in questi giorni a casa nostra”. (fdr)

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