Ricordato Spartaco Lavagnini. Luca Milani (Presidente Consiglio comunale): “Il primo martire antifascista di Firenze”

A cento anni dalla scomparsa

“A cento anni dalla scomparsa il comune di Firenze ha voluto ricordare, in maniera solenne Spartaco Lavagnini. Spartaco Lavagnini – ha ricordato il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – venne ucciso appena un mese dopo la scissione del Partito Socialista di Livorno e la nascita del Partito Comunista d’Italia, formazione alla quale aderì Lavagnini, ucciso dai fascisti durante un raid squadristico nei locali del Sindacato Ferrovieri Italiani, in via Taddea 2. Per capire il contesto nel quale è avvenuto questo assassinio, credo che sia importante comprendere lo stato sociale ed economico del Paese e cosa stava accadendo in quello che poi è passato alla storia come biennio rosso.

Un Paese diviso, spaesato, violento, spaventato da paure diverse e nuove, ostilità o indifferenza verso una classe dirigente spesso lontana e impermeabile ai bisogni dei ceti più poveri, un diffuso antiparlamentarismo, una grave crisi economica, un forte disagio sociale segnato anche da una pandemia e dalle conseguenze del primo conflitto mondiale.

L’Italia era un paese tendenzialmente agricolo, governato da ristrette elites, uno Stato costituzionale ma non democratico nel senso pieno del termine, privo di stato sociale, affascinato dal culto e dal mito della guerra, dai sogni di espansione coloniale, radicalmente cattolico, rigidamente patriarcale, classista, diffusamente analfabeta, diviso nelle diverse realtà regionali, diviso anche a livello politico, sociale, territoriale appunto: tra regioni ma anche tra aree urbanizzate e rurali, fra Sud e Nord. Un paese senza infrastrutture moderne che inizia piano piano a conoscere l’avvento della società di massa.

La guerra poi ha accentuato rabbia, ansie, paure, dolori e ha abituato alla violenza che diviene parte della politica, tanto che in Italia i fascisti, ne faranno l’essenza della loro strategia politica.

Firenze è parte di questo contesto.

Anzi qui semmai le divisioni sono ancora più nette e gravi.

La città è dominata da una classe dirigente conservatrice, forte dei domini terrieri, signori dei poderi mezzadrili, detentori del potere politico ed economico. Ma è anche città – ha proseguito il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – di una crescente classe operaia paradossalmente grazie alla guerra.

Firenze non era città di grandi fabbriche ma era una città di manifattura, di artigianato e poi anche città operaia frutto di uno sviluppo proprio causato delle necessità belliche del primo conflitto mondiale, ad esempio le Officine Galileo, passarono dai 200 ai 2000 addetti tra il 1907 e il 1917.

Questa crescita vide parallelamente anche l’esplosione di una presenza organizzata del sindacato e del partito socialista. Nel 1920 il PSI conta oltre 8700 e la Camera del Lavoro oltre 63.000 soci divisi in circa 218 leghe. Una massa arrabbiata per i sacrifici e le scelte della guerra ed organizzata in una straordinaria rete di associazioni mutualistiche, ricreative, cooperative, affiancate a quelle del partito e del sindacato. La CGdL si struttura con i consigli di azienda destinati a tutelare i lavoratori in fabbrica e intervenire nell'organizzazione del lavoro. Per gli industriali è troppo, contratti, diritti miglioramenti delle condizioni di lavoro sono pretese inaccettabili in una totale negazione della dignità del lavoratore e del lavoro.

A Firenze il clima è incandescente: il 10 agosto in via Centostelle viene fatta saltare in aria la polveriera San Gervasio che provoca 8 morti.

Il 29 agosto durante un comizio socialista le forze dell’ordine sparano sul corteo dei manifestanti: 4 morti; ai funerali degli operai uccisi 50.000 persone proclamato lo sciopero generale.

A Settembre ci sarà l’occupazione delle fabbriche con circa 3.000 operai, organizzati in autogestione per non fermare le produzioni. Alla Pignone, la fabbrica più rappresentativa, tutti sono impegnati a dimostrare che la fabbrica non è solo il padrone, la fabbrica sono anche loro, perché senza il lavoro, senza la loro cultura del lavoro, la loro professionalità, i loro sacrifici, essa non esisterebbe.

Firenze sarebbe stata precoce anche nelle violenze squadriste che, subito dopo, intervengono a segnare la vita della città, con la forza della violenza.

Dopo il settembre rosso il quadro sarebbe presto mutato.

Nubi nere incombevano già alla fine del ‘20.

Lavagnini – ha aggiunto il presidente Luca Milani – dopo lo sciopero generale dei Ferrovieri (dei quali era Segretario Regionale) fu il candidato sindaco dei socialisti della città nelle amministrative di ottobre seguite alla stagione dell'occupazione delle fabbriche.

Non ce la fece, vinse, per poco, il blocco dei conservatori. Anche per questa prospettiva, di poter diventare il primo sindaco socialista di Firenze, Lavagnini finì per essere bersaglio dei fascisti fiorentini, le cui minacce nei suoi confronti si fecero sempre più pesanti. La sua adesione al PCd’I riconosciuto come leader fiorentino nonché direttore de “L’Azione Comunista”, dopo lo scoppio di una bomba contro un corteo di studenti liberali, scatenò la reazione alla caccia all’uomo da parte fascista; fu ucciso a colpi di rivoltella nella sede dei ferrovieri in via Taddea.

A seguito di questo omicidio si sviluppò la cosiddetta “Battaglia di Firenze”, durante la quale nel mezzo di un massiccio sciopero generale di protesta operai, artigiani, popolani, cittadini fiorentini, eressero barricate in vari rioni della città, poi presi a cannonate dall’esercito regio, fiancheggiato dai fascisti.

Dopo la morte, Lavagnini fu sepolto nel cimitero di Trespiano, sulla sua tomba il Sindacato dei Ferrovieri Italiani eresse un busto in marmo, divenne meta di omaggio da parte degli antifascisti fiorentini, tanto che il regime fascista non lo mise sotto sorveglianza, denunciando tutti coloro che vi si avvicinavano per deporre un fiore.

La figura di Lavagnini fu quindi il primo martire antifascista di Firenze e divenne oggetto di una venerazione “clandestina” negli anni bui della dittatura.

Nel dopoguerra, a testimonianza del suo valore, Firenze ha intitolato l’ex viale Regina Margherita, dove sorge il grande palazzo delle Ferrovie, e la scuola che ha sede nello stesso viale.

Un impegno di vita – ha concluso il presidente del Consiglio comunale Luca Milani – dedicata a quanti vivono del proprio lavoro, quanti aspirano ad un domani di giustizia sociale, quanti sentono che è vergogna e delitto, preoccuparsi soltanto della propria tranquillità e del proprio benessere”. (s.spa.)

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